da dove iniziare
cosa c'è di meglio dello scoprire d'essere solo.
essere l'unica vita nell'universo.
essere l'universo.
all'infinito il pensiero corre dietro a sé stesso sapendo che questa corsa proseguirà all'infinito.
e all'infinito si cercherà un'altra esistenza oltre alla propria, sapendo di non trovarla.
l'infinito non consente la convivenza a due infiniti.
solo contenere infiniti finiti.l'esistenza infinita spaventa e rinunciare a questa apparente esistenza finita è inammissibile.

è la paura di una esistenza all'infinito che fa temere la morte di questa esistenza finita.
la vita è eterna ma l'esistenza effimera scomparirà il momento in cui cesserà di essere.
potrà riproporne una nuova ma non sarà quella esistenza finita.
potrà replicarla esattamente come essa venne vissuta ma sarà il perpetuare all'infinito di una esistenza finita.
potrà allora dimenticare di averla vissuta in precedenza ma allora non ha senso l'attaccamento a quella particolare esistenza finita se poi deve essere dimenticata.
abituato alla solitudine dell' essere infinito si trova distrazione nel dolore e nel piacere dell'apparenza.
quanto ancora voglia far durare questa farsa dipende dalla misura della paura di prendere definitivamente coscienza d'esser solo. e l'apparente solitudine dell'apparenza dell'essere finito è nulla contro l'infinita ed eterna solitudine della realtà dell'essere infinito.
Sei solo. Ma è una solitudine composta da moltitudini.
Quello che osservi attorno a te è la creazione di entità autonome, indipendenti, controllabili solo attraverso un immenso lavoro immaginativo.
Vero è che tutto ciò che ti circonda è il prodotto di una tua esatta proiezione. Vero è anche che questa proiezione è stata pianificata e pensata per avere assoluta autonomia.
Pertanto in questa ambientazione realista vivi le impressioni e assapori i sensi che, non solo tu crei come interprete di questa sceneggiatura da te scritta, ma ogni singola fenomenologia derivata e causata da ogni singolo individuo che originariamente hai dato vita.
E' così che la complessità del mondo nelle sue svariate e multicolori manifestazioni, organiche e non, animali o vegetali, prende forma senza che tu debba necessariamente crearle nella loro complessa interconnessione.
Ogni singolo fenomeno avrà il suo corso seguendo le leggi e le reazioni conosciute al momento della loro rispettiva nascita. Anche fenomeni precedentemente sconosciuti saranno manifesti grazie alla potenzialità creativa data ad ogni singola creazione.
In ciò si riassume l'essenza di Dio, la sua onnipresenza e la sua onnipotenza: la capacità di generare il lievito che autonomamente genererà a sua volta altro lievito in un processo di espansione geometrica che solo la mente di Dio, presa come unità con il tutto da lui creato, può manifestare. Il Dio rappresentato dalle istituzioni, che vorrebbe essere il creatore e il conducente di ogni singolo movimento dell'universo è quella forma intelligente che sia capace di pensare ogni singola manifestazione nell'universo, partendo dal moto satellitare di ogni singolo atomo intorno al proprio nucleo. Possibile? Certamente. Tutto è possibile per chiunque abbia la facoltà di pensare e sia sufficientemente determinato a manifestare il mondo che desidera entro i limiti che lui stesso stabilisce. Ma i limiti a questa creazione molteplice e sincrona sono a loro volta quelli della incapacità "umana" di avere più di un singolo pensiero contemporaneamente. L'uomo, si dice, non possa pensare ad una mela mentre contestualmente pensa ad un telefono. L'uomo viene quindi definito il figlio di dio in quanto capace, come quest'ultimo, di creare al pari del padre, ma contrariamente a quello che il padre può fare, universalmente accettato da ogni fede religiosa, l'uomo si limita a, nel migliore dei casi, manifestare una sequenza di materializzazioni dei propri pensieri. Ma è così? é la divinità che si riscopre nell'uomo capace di incolonnare materializzazioni una dietro l'altra oppure è questa solo una manifestazione del fenomeno creativo volutamente ordinata secondo una linea temporale? Cosa accadrebbe se l'uomo scoprisse di poter creare simultaneamente? Acquisire la consapevolezza che tutte le sue creazioni sono collocate su una scala virtuale inventata appositamente per dare un senso a quella stessa misura su cui basiamo la nostra esistenza e che ci costringe a scandire la nostra vita non in azioni compiute ma in attimi, secondi trascorsi? Se l'uomo provasse ad eliminare il tempo, se sradicasse il concetto di questo per far posto al movimento nello spazio, potrebbe forse compiere più movimenti senza dover imprigionare il proprio pensiero o il proprio movimento creativo in una gabbia artificiale chiamata tempo. Definendo il tempo, ci chiudiamo in un concetto che limita le nostre capacità creative, confinandole appunto ad una sequenza ineluttabilmente singolare. Eppure sappiamo benissimo che l'uomo può compiere più azioni. Quando guidiamo un automobile riusciamo a masticare, parlare al telefono, ascoltare della musica, rispettare tutte le norme stradali, cambiare rapporto di marcia, odorare lo scarico del motore diesel in fronte ecc. Abitudine? Forse. Ma come possiamo definire abitudine la sequenza di movimenti che compiamo durante un tragitto quando il traffico è costantemente mutevole e così il pedone che attraversa, il semaforo rosso, la pioggia ecc. Per abituarsi a compiere l'imprevedibile dobbiamo aver eseguito tutta quella serie di movimenti necessari per compiere il tragitto un numero estremamente elevato di volte. Cosa accade invece quando il tragitto cambia? Prestiamo più attenzione al tragitto stesso, ma la meccanica e la sequenza dei movimenti necessari a compiere questo nuovo tragitto risultano essere anche in questo caso "automatici". Allora non è abitudine. Allora una qualche sezione della nostra mente crea i comandi richiesti per affrontare questa nuova condizione, ed il nuovo tragitto viene compiuto eseguendo comandi che conosciamo ma in ordine diverso. Per spiegare ciò è necessario allora considerare l'intervento di una seconda forza creatrice, o se preferiamo, come molti amano definirla, la mente subconscia. Ora, distinguere il subconscio dalla nostra capacità creatrice cosciente mi sembra un azzardo, e comunque anche volendo distinguere le due cose non possiamo astrarre dal principio di unità che queste due entità manifestano lavorando di concerto. Di fatto quando una cessa di esistere anche l'altra segue il medesimo destino. Questa prerogativa della mente umana (la capacità di elaborare, pensare, agire, in poche parole muoversi contemporaneamente su piani diversi) la rende pertanto potenzialmente vicino - almeno in via teoretica - alla mente divina, capace quindi di agire su più piani simultaneamente. La differenza tra quella che supponiamo sia la mente di dio e quella umana è meramente quantitativa. Questa differenza mette allora l'uomo sotto tutt'altra luce, avvicinandolo a dio e ragionando in questi termini non posso allora evitare di ricordare il messaggio biblico rivolto al peccatore. Se teoricamente volessimo dimostrare la validità di tale ipotesi, la differenza quantitativa tra l'esercizio creativo divino ed umano, allora risulterebbe evidente quello che i testi sacri sanciscono come peccaminoso: il procrastinare dall'esercizio creativo. Seguendo questo filo conduttore allora diventa chiara e sorprendentemente illuminante la parola di cristo che volendo riassumere in poche parole si ridurrebbe a decretare buono ciò che crea e male ciò che non crea. Contrariamente a ciò che le istituzioni religiose vogliono far passare per la parola di dio, potremmo affermare che non è tanto peccaminoso colui che distrugge o danneggia le creazioni dell'altro o infierisce sulla persona stessa quanto colui che non agisce. Il non agire comporta il non creare, il non scuotere l'universo. Una vita passiva non può essere equiparata al concetto di natura, di universo, di dio. Al contrario, tutto quello che agisce, stimola, crea e distrugge, muove e fa muovere è il diretto risultato di quella forza universale racchiusa nel l'esercizio della mente, il pensiero. In sintesi, ciò che pensa è bene, ciò che non pensa è male.
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